LUCIANA TEOFILI
Direttore Banca SCO Policlinico A. Gemelli
![]() Sono Luciana Teofili, ematologo, attuale Direttore della Unità Operativa Complessa di Emotrasfusione e della Banca del Sangue di Cordone Ombelicale UNICATT della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS di Roma. Nella mia ormai lunga vita professionale, ho sempre pensato che coniugare alla attività clinica quella di ricerca scientifica fosse un valore aggiunto all’assistenza. Per questo, sin dai primi anni di attività nella banca UNICATT, ho visto nel sangue di cordone ombelicale anche aspetti ulteriori a quello dell’utilizzo trapiantologico. Seguendo la intuizione dei colleghi neonatologi, il nostro gruppo, con le dottoresse Maria Bianchi, Caterina Giovanna Valentini, il dr. Claudio Pellegrino, ho condotto i primi studi clinici sull’uso di emazie da sangue di cordone ombelicale per la trasfusione del neonato pretermine, che hanno portato recentemente allo studio BORN, di cui sono il principal investigator. Si tratta del primo studio randomizzato per la valutazione dell’efficacia clinica di questo approccio trasfusionale. Vi racconterò perché questo studio è nato. I neonati con una età gestazionale estremamente bassa (detti anche ELGAN da “extremely low gestational age neonates”, vale a dire nati prima della 28° settimana di gestazione) sviluppano una forma di anemia, chiamata appunto anemia del pretermine, che purtroppo è resistente alla terapia medica. Per tale motivo un ELGAN richiede durante il suo decorso clinico più di una trasfusione di globuli rossi. Per quanto queste trasfusioni siano utili per correggere la anemia, e quindi inevitabili, numerosi studi hanno dimostrato la associazione tra trasfusioni e rischio di mortalità e morbilità degli ELGANs. Fisiologicamente, i globuli rossi di un adulto e quelli fetali presentano molte differenze: quella sostanziale è che contengono due forme diverse di emoglobina, quella adulta (HbA) e quella fetale (HbF). Il feto sintetizza HbF per tutta la durata della gravidanza, tanto che anche i globuli rossi di un neonato a termine contengono quasi solo HbF. Intorno alla fine della gravidanza il feto inizia a produrre anche HbA (cosiddetto switch dell’emoglobina) e nel giro di alcuni mesi dopo la nascita HbA diventerà la principale forma di emoglobina e sarà presente per il resto della vita postnatale. La differenza sostanziale tra HbF e HbA è nella loro diversa affinità per l’ossigeno: la HbF ha una affinità più alta rispetto alla HbA e questo garantisce che l’ossigeno possa passare dal sangue materno a quello del feto durante la gravidanza. Con la nascita, il feto passa dalla vita intrauterina, a bassa concentrazione di ossigeno a quella extrauterina, a più alta concentrazione di ossigeno. Teoricamente, quindi, non ha più bisogno quindi di una emoglobina che sia avida di ossigeno. Sorprendentemente, però, l’ossigeno nell’ambiente esterno non ha alcuna influenza sullo switch dell’emoglobina, che invece appare essere “costituzionale”, ossia regolato da meccanismi connessi allo sviluppo fetale. Come risultato, un neonato prematuro continuerà a produrre esclusivamente HbF finché non raggiungerà l’età di un neonato a termine (ossia circa 40 settimane), indipendente dal fatto che lo sviluppo avverrà al di fuori dell’utero materno. Di conseguenza, quando un neonato prematuro riceve trasfusioni di globuli rossi, la HbF viene a essere progressivamente sostituita dalla HbA, con quantità di HbF residua sempre più bassa quante più sono le trasfusioni che il neonato riceve. Recentemente la attenzione scientifica si è focalizzata proprio sulla associazione tra bassi livelli di HbF e gravità di alcune delle malattie tipiche della prematurità, come la retinopatia del prematuro (ROP) o la displasia broncopolmonare (BPD). Si tratta di patologie croniche, che possono avere un pesante impatto nello sviluppo e nella qualità di vita futura di questi bambini. Un gruppo di neonatologhe del Policlinico Gemelli, le dr.sse Patrizia Papacci, Titti Tornesello e Carmen Giannatonio, già diversi anni fa aveva intuito che l’emoglobina fetale potesse avere un ruolo protettivo nel neonato pretermine, difendendolo in qualche modo dallo stress ossidativo che un organismo ancora in via di sviluppo, come quello di un prematuro, non riesce a gestire. Per tale motivo è nata una collaborazione con la banca del sangue di cordone ombelicale, che ha portato ai primi due studi pilota. Sono state utilizzati globuli rossi ottenuti da quelle unità di sangue di cordone donate alla nostra Banca che soddisfacevano tutti i criteri di idoneità al trapianto tranne il basso numero di cellule staminali. Questi studi iniziali sono stati fondamentali per dimostrare la fattibilità di questo approccio trasfusionale e, soprattutto, la reale efficacia nel correggere la anemia senza modificare i livelli di HbF, che nei pazienti trasfusi con globuli rossi da cordone rimanevano alti come quelli dei prematuri non trasfusi. Da queste esperienze iniziali è nato lo studio BORN, uno studio italiano multicentrico appena concluso che ha coinvolto i reparti di terapia intensiva neonatale, le banche del sangue del cordone ombelicale, i servizi trasfusionali del Policlinico di Milano, della AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, dell’IRCCS San Matteo di Pavia, dell’AOU Careggi di Firenze, della AOU Pisana, del Policlinico Gemelli di Roma, dell’Ospedale Santobono Pausilipon e dell’Ospedale Evangelico Villa Betania di Napoli, e degli Ospedali Riuniti Bianchi Malacrinò Morelli di Reggio Calabria. Lo studio BORN si è appena concluso, e al momento è in corso la analisi dei risultati. Sono stati arruolati 146 ELGAN, con l’l'obiettivo primario di valutare se l’uso di trasfusioni di globuli rossi da sangue ombelicale potesse ridurre l'incidenza di forme gravi di retinopatia. Lo studio ha un disegno randomizzato, ed i neonati arruolati sono stati assegnati in maniera casuale a due bracci: nel braccio di controllo ricevevano trasfusioni da sangue di donatore adulto e in quello sperimentale trasfusioni di globuli rossi di sangue di cordone ombelicale. BORN è stato registrato sul sito https://clinicaltrials.gov/, con l'identificativo NCT05100212 ed è stato supportato dalla Fresenius Kabi, che ha sostenuto i costi della polizza assicurativa e ha messo a disposizione il materiale necessario alla preparazione delle trasfusioni da cordone in modo da rendere standardizzata la loro preparazione in tutti i centri partecipanti. Durante lo studio sono state eseguite oltre 400 trasfusioni, di cui oltre 100 da sangue di cordone ombelicale. Una analisi preliminare, fondamentalmente focalizzata sulla sicurezza, ha mostrato come questo approccio sia assolutamente sicuro. Speriamo che quanto prima si possa dire qualcosa anche della efficacia nella prevenzione della retinopatia severa. Va però sottolineato che lo studio BORN è stato possibile anche grazie a due elementi fondamentali. Da una parte, la generosità di chi ha voluto donare il sangue del cordone ombelicale del proprio bambino: è solo grazie a queste persone che oggi abbiamo la possibilità di capire quanto il sangue ombelicale sia una risorsa preziosa, che può fare la differenza non solo per chi riceve un trapianto di cellule staminali ma anche per i bambini nati gravemente prematuri. L’altro elemento che ha reso possibile BORN è stata la fiducia che i genitori dei neonati prematuri hanno avuto nella ricerca scientifica in un momento così critico della loro vita. A tutte queste persone, chiunque abbia lavorato nello studio BORN non può che dire un immenso grazie. Infine, un grazie anche alle associazioni come Genitin, Olgiati, e Adisco. Ognuna di loro, ciascuna per la propria parte, ha dato e certamente continuerà a dare il suo contributo alla informazione corretta e alla ricerca scientifica sull’utilizzo del sangue di cordone ombelicale. |
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