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INTERVISTA
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Il sangue cordonale per trattare neonati pretermine: utopia o realtà?




Pubblichiamo l'intervista realizzata dalla dott.ssa Gloria Pravatà (Consigliere Nazionale Adisco).

Immaginiamo di trovarci in un grande Ospedale Pediatrico Italiano a fine anni ’50, in quello che all’epoca si chiamava “reparto prematuri” (la Neonatologia e la Terapia intensiva Neonatale erano di là da venire..): il pediatra responsabile passa a controllare i neonati e insieme al suo staff, controlla i parametri dei piccoli pazienti, il peso, la propensione a nutrirsi, finanche la mera “voglia di lottare”, senza controllare valori di emoglobina e decide di fare ai più deboli, una piccola trasfusione (30-40 g) di sangue intero (anche in questo caso le emazie concentrate o leucodeplete erano fantascienza). Spesso funzionava , ma tante volte il piccolo non sopravviveva alla terapia. Queste sono le “confessioni” di un pediatra che ora dice di vergognarsi circa la grossolanità dell’intervento in mancanza di parametri precisi, così come un controllo preciso della loro efficacia, ma la medicina, come tutta la scienza si basa sulla ricerca e sull’esperienza e la capacità di migliorarsi è frutto anche di sfide come questa. Oggi, nel 2014 ci troviamo a parlare di un’altra “scienza”, molto più sofisticata e monitorizzabile, ma l’atteggiamento di chi intende offrire la migliore assistenza possibile ai propri pazienti è immutata. Parliamo con la dottoressa Maria Bianchi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma del protocollo che prevede l’uso di emazie estratte da sangue cordonale per trattare le anemie dei neonati pretermine: uno studio di fattibilità che, visti i risultati positivi, necessita di ampliare la casistica conducendo un trial clinico multicentrico randomizzato per confermare le incoraggianti premesse.

Come nasce questo protocollo?

L’idea di sviluppare innanzitutto uno studio, nasce nel 2010 dal contatto tra lo staff della terapia intensiva neonatale del Policlinico Agostino Gemelli di Roma con la Banca del Cordone Ombelicale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sull’utilizzo di sangue cordonale e placentare autologo in bambini candidati ad interventi chirurgici o per trattare l’anemia del pretermine che coinvolge la quasi totalità dei neonati con peso

Quali sono gli obiettivi che vi ponete?

Innanzitutto fornire ai bambini che necessitano una trasfusione, un’emoglobina simile a quella fetale, cosa che non avviene utilizzando sangue da donatore. Si eviterebbe uno shock di ossigenazione al prematuro che non ha ancora sviluppato un’emoglobina “matura”, cosa che amplifica il rischio di sviluppare una retinopatia della prematurità. L’idea non è quella di dimostrare che il sangue cordonale sia migliore, ma che possa costituire una valida e idonea alternativa terapeutica; parallelamente condurremo studi biologici sui marcatori cellulari e metabolici del danno ossidativo e sulle possibili implicazioni immunologiche delle trasfusioni di sangue cordonale rispetto a quelle di sangue da donatore adulto.

In questo modo potreste anche dare un “futuro vitale” alle unità cordonali che non trovano spazio nell’inventario del registro trapianti e forse potrebbe essere un messaggio utile anche per incoraggiare le mamme a donare, visto che solo il 12% delle unità raccolte viene bancato e questo allontana molte coppie dal gesto di solidarietà.

Certamente la risorsa del sangue cordonale non può e non deve essere vista solo come un’alternativa al trapianto di midollo nelle terapie ematologiche, ma vanno pubblicizzati anche i risultati che si stanno ottenendo in settori diversi, come il caso del gel piastrinico e appunto questa nostra applicazione che, peraltro ha trovato un efficace partner per diffonderne la conoscenza e raccogliere fondi a sostegno della ricerca in una onlus, la Genitin, fondata dai genitori dei bambini pretermine, una realtà che conta circa 500 casi su 3000 parti avvenuti in un anno presso il nostro Policlinico.

A dirigere l’unità di Terapia Intensiva Neonatale del Gemelli è il Prof. Costantino Romagnoli, che dal 2012 è anche Presidente della Società Italiana di Neonatologia, a lui abbiamo chiesto di illustrarci il punto di vista dalla parte del clinico pediatrico.

Fornire la migliore assistenza possibile ad un neonato pretermine significa fornirgli terapie efficaci ma anche sicure.

Quando trasfondiamo sangue adulto forniamo dei globuli rossi che contengono emoglobina adulta in grado di cedere più ossigeno ai tessuti. Questo provoca nei neonati pretermine uno stress ossidativo importante che è stato correlato con le patologie da radicali dell’ossigeno quali la retinopatia della prematurità, la displasia broncopolmonare e la enterocolite necrotizzante. Se, invece, trasfondiamo globuli rossi fetali (quelli del cordone lo sono) essi contengono l’emoglobina fetale che cede meno facilmente l’ossigeno ai tessuti riducendo lo stress ossidativo.

La domanda potrebbe essere: ma siamo certi che questo preverrebbe tali patologie? La risposta è che sicuramente ne ridurrebbe il rischio e forse anche la gravità. Ed in ogni caso vale la pena di testare questa ipotesi con studi controllati condotti con rigore scientifico. Ma per fare questo è essenziale poter disporre di quantità idonee di globuli rossi del cordone e solo una sensibilizzazione della popolazione e degli operatori sanitari può contribuire a far sì che ciò sia possibile.

Di qui l’iniziativa dal titolo “Grazie Mamma!” che Genitin Onlus “Associazione dei Genitori per la Terapia Intensiva Neonatale” sta portando avanti (www.genitin.it[email protected])

Gloria Pravatà