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L’EVOLUZIONE DEL TRAPIANTO ALLOGENICO DI CELLULE STAMINALI EMATOPOIETICHE
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Marzo 2017

William Arcese
Università “Tor Vergata”, Roma

Sebbene nel vasto ambito della storia della medicina occupi uno spazio relativamente limitato, il trapianto di cellule staminali ematopoietiche costituisce un racconto ricco e particolarmente affascinante. In questa rubrica, rimandando ad eventuale altra occasione il capitolo relativo al trapianto autologo, ci riferiremo essenzialmente al trapianto allogenico, vale a dire al trapianto da donatore. In tale contesto, tralasciando le pur fondamentali tappe degli studi sperimentali in vitro e sui modelli animali, possiamo individuare una sua “moderna” applicazione sull’uomo solo a partire dalla fine degli anni ’50 e dividere grossolanamente la storia in tre principali periodi: fino agli ultimi anni ‘70, il ventennio ’80-’90 e, infine, l’ultimo quindicennio dall’inizio del 2000 fino ai nostri giorni.
Darò solo alcune date storiche più significative, che permettano di avere, almeno per sommi capi, la misura di questa storia.

E’ del 1957 la prima pubblicazione scientifica a firma E.D.Thomas et al., riportata sulla prestigiosa rivista New England Journal Medicine (NEJM), sul trapianto di midollo osseo in pazienti con emopatia maligna in fase avanzata e del 1959 la prima comunicazione, sempre ad opera dello stesso Autore, che l’infusione di midollo osseo da gemello monocoriale, dopo aver somministrato al paziente una dose sovraletale di irradiazione corporea totale, permetteva la completa ricostituzione ematologica e l’eradicazione della malattia leucemica.

Bisognava comunque aspettare la fondamentale scoperta dell’HLA (Human Leukocyte Antigens), vale a dire dei fattori che permettono di definire la compatibilità tra due persone, raggiunta quasi contemporaneamente da Jean Dausset e JJ van Rood e la possibilità di una loro corrente determinazione in laboratorio, elaborata da RB Epstein solo nel 1968, perché il trapianto di midollo osseo trovasse una sua applicazione più razionale. Applicando i nuovi criteri di compatibilità per la selezione del donatore, RA Gatti et al. e FH Bach et al., entrambi nel ’68, riferiscono il successo conseguito con il trapianto di midollo osseo in bambini con malattia ematologica congenita.

In linea con questa esperienza, E.D. Thomas e la scuola di Seattle riportano positive esperienze nel ‘70, ’72 e ‘75 sia su pazienti affetti da anemia aplastica che, in particolare, su pazienti con emopatia maligna in fase avanzata.

E’ infine di fondamentale importanza la pubblicazione del 1977, sempre a firma E.D. Thomas et al., relativa a 100 pazienti leucemici trapiantati in fase attiva di malattia, dalla quale si traeva l’indicazione ad eseguire il trapianto di midollo osseo, non in fase di refrattarietà, ma durante la fase di remissione.

Aver seguito tale indicazione ha permesso di ottenere successivamente uno straordinario miglioramento dei risultati e della percentuale delle guarigioni.

Da questo brevissimo excursus si può pertanto ben capire quanto a ragion veduta il premio Nobel per la Medicina sia stato conferito a Jean Dausset nel 1980 e a E.D. Thomas nel 1990.

Gli anni ’70 si chiudono con altri tre fondamentali avanzamenti:

il primo è la chiara acquisizione clinica dell’effetto terapeutico (Weiden et al., 1979) esercitato dalle cellule del donatore contro le cellule leucemiche, conosciuto con il termine tecnico di Graft Versus Leukemia (GVL), che costituirà successivamente la base per l’immunoterapia cellulare;

il secondo è l’esecuzione con successo del primo trapianto da donatore volontario non familiare HLA compatibile (Hansen et al., 1980) in un paziente con leucemia acuta in fase avanzata, che casualmente venne riscontrato HLA compatibile con un tecnico di laboratorio del Centro di Seattle. Questa esperienza è stata ispiratrice per la costituzione del National Marrow Donor Program (NMDP) con successiva estensione al registro internazionale Bone Marrow Donor Worldwide (BMDW) al quale sono attualmente iscritti circa 29 Milioni di donatori volontari. Il Registro internazionale offre un’elevata probabilità di rispondere alla domanda di trapianto per quel 70% dei pazienti che non hanno disponibilità di un donatore familiare HLA compatibile;

il terzo, infine, è rappresentato dall’introduzione nella pratica clinica dei trapianti, tra il ’79 e l’80, di due farmaci: la Ciclosporina per la prevenzione della Graft Versus Host Disease (GVHD), possibile e, a volte, grave complicanza del trapianto per reazione delle cellule del donatore contro tessuti e organi del ricevente e l’Acicloguanosina, farmaco estremamente efficace per la prevenzione delle infezioni da Herpes simplex, frequenti e spesso aggressive nel paziente immunodepresso come il trapiantato di midollo.

 40.829 TRAPIANTI: 15.765 Allogenici (43%); 20.704 Autologhi (57%)
 11.853 LEUCEMIE: 33% del totale, di cui 96% Trapianto Allogenico

Avendo ricevuto in dote un tale bagaglio di esperienze ed acquisizioni, nel ventennio successivo, ’80-2000, si è assistito ad un impegno dei Centri trapianto, il cui numero è incrementato in maniera esponenziale, nel mettere in pratica, sviluppare e sempre più raffinare pratiche e procedure trapiantologiche, alle quali ha corrisposto non solo un progressivo aumento del numero dei trapianti annualmente effettuati, ma anche un netto miglioramento dei risultati e più in generale della percentuale di guarigioni.
Tappe significativamente innovative raggiunte in quegli anni sono poi rappresentate da una serie di ulteriori acquisizioni

L’introduzione di regimi di preparazione al trapianto costituiti dalla combinazione di solo farmaci chemioterapici con esclusione della radioterapia come proposto dalla scuola di Baltimora ha consentito una diffusione della pratica trapiantologica anche a Centri nei quali la radioterapia non era disponibile.

La dimostrazione dell’efficacia dell’infusione di linfociti del donatore dopo trapianto per il trattamento della recidiva di malattia (Kolb et al., 1990) ha aperto nuove prospettive, biologiche e cliniche, per il trattamento con successo dei pazienti in cui la malattia non era stata definitivamente eradicata.

La produzione di farmaci antivirali, quali il Ganciclovir, attivi contro il Citomegalovirus ha permesso di prevenire e trattare una complicanza responsabile di una considerevole percentuale di morbilità e mortalità post trapianto.

La possibilità di raccogliere le cellule staminali anche dal sangue periferico dopo breve stimolazione sottocutanea del donatore con farmaci, detti fattori di crescita ematopoietici del tutto omologhi a quelli fisiologici, ha fortemente facilitato la raccolta delle cellule staminali da infondere, evitando l’uso della camera operatoria e, soprattutto, l’anestesia generale del donatore.

L’impiego di regimi di preparazione al trapianto meno intensivi e quindi meno tossici ha permesso di estenderne l’applicazione a pazienti di età superiore ai 60 anni.

Tuttavia, un’assoluta novità, introdotta proprio a metà del ventennio ’80-2000, è stata la dimostrazione, con pubblicazione nel 1989 sul NEJM da parte di E. Gluckman, di poter eseguire il trapianto allogenico con l’impiego delle cellule contenute nel sangue di cordone ombelicale, che, per quanto sensibilmente ridotte rispetto al midollo osseo come quantità totale da infondere, posseggono proprietà proliferative e un’immaturità immunologica tali da permettere comunque l’attecchimento con completa ricostituzione ematologica e, ancor più rilevante, la possibilità di eseguire il trapianto anche per condizioni di incompatibilità HLA con il ricevente.

Questa esperienza ha aperto la strada alla costituzione di una rete internazionale delle Banche di Sangue di Cordone Ombelicale che si affianca ed è complementare alla rete dei Registri dei donatori volontari, offrendo un’ulteriore fonte per reperire cellule staminali ematopoietiche per i pazienti privi di donatore familiare compatibile. Sulla base dell’ultimo censimento eseguito, è stato calcolato un numero complessivo di unità di sangue cordonale disponibili presso le diverse banche superiore alle 700.000.

La storia di questi ultimi 15 anni ha visto diverse vicissitudini con netta riduzione fino anche all’abbandono del trapianto allogenico per il trattamento di alcune patologie per le quali l’introduzione di nuovi farmaci o combinazioni di trattamenti permettono ora di ottenere risposte terapeutiche e possibilità di guarigione prima impensabili.

Tuttavia, se in alcuni settori si è assistito a questa mutazione, un’estesa applicazione del trapianto allogenico non è venuta meno nel suo complesso se si tiene conto che nel solo 2015 al Registro europeo del trapianto (EBMT, European Blood and Marrow Transplantation Group) sono stati riportati oltre 35000 trapianti allogenici, di cui 1739 eseguiti in Italia. Questa imponente attività non accenna in prospettiva a diminuire e le acquisizioni prima riferite, ulteriormente sviluppate, si vanno ora arricchendo a ritmo crescente delle pratiche di manipolazione cellulare, con cui non solo eseguire, ma più propriamente “guidare” il trapianto allogenico nella sua applicazione e nel suo successivo decorso.

Il considerevole aumento di disponibilità dei donatori, sia adulti volontari che come unità di sangue cordonale criopreservato, ha determinato, già a partire dal 2008 e con una tendenza all’incremento progressivo negli anni, il sorpasso del numero dei trapianti così eseguiti rispetto a quelli da donatore familiare HLA compatibile con risultati del tutto comparabili.

Infine, come ultimissima acquisizione, consolidatasi rapidamente nella pratica, è l’aver elaborato procedure trapiantologiche tali da poter eseguire trapianti allogenici anche da donatore familiare semicompatibile, detto anche con termine più tecnico donatore aploidentico, senza la necessità di impiegare sofisticate e costose manipolazioni cellulari in laboratorio. I risultati, basati ormai su casistiche consistenti e per un tempo di osservazione sufficientemente lungo, sono particolarmente confortanti. Tale pratica rappresenta pertanto un’ennesima rivoluzione nella storia del trapianto allogenico, di cui si devono ancora indagare tutte le numerose potenzialità che può riservare. Nel frattempo, tutta la strategia trapiantologica in particolare per quanto concerne la scelta della fonte di cellule staminali e la selezione del donatore viene rimessa in discussione e costituisce tuttora oggetto di aperto dibattito.

In definitiva, benchè comune a tutta la ricerca clinica, la storia del trapianto allogenico, di cui si è cercato qui di delineare solo i caratteri essenziali, continua e, oggi, pur con i suoi 60 anni alle spalle non ha perso il suo fascino.

FONTE: www.ail.it