La nuova cura orale, da assummere una volta al giorno, ha mostrato risultati di efficacia e sicurezza mai osservati prima per due neoplasie delle cellule B, la leucemia linfatica cronica e il linfoma mantellare, anche senza chemioterapia. La novità per l'ematologia è stata presentata al Congresso americano Ash, in corso ad Orlando (Fl).
Un’unica terapia orale ad assunzione giornaliera alternativa alla chemioterapia, a breve disponibile anche in Italia a seguito dell’approvazione Ema. È un cambio di paradigma – anche ‘sociale’ – quello destinato ai pazienti colpiti da due forme di neoplasie delle cellule B, una cronica e l’altra aggressiva: la leucemia linfatica cronica e il linfoma mantellare.
Il farmaco, che era già stato designato dall’Fda come “breakthrough therapy”, ha dimostrato risultati mai osservati prima in termini di efficacia e sicurezza: nello studio di fase 3, sui pazienti con leucemia linfatica cronica pretrattati, ha mostrato ad un follow-up di 19 mesi una riduzione del rischio di progressione di malattia del 90% e un dimezzamento del rischio di morte (riduzione del 53%), rispetto ad Ofatumumab. Anche per il linfoma mantellare (Ibrutinib è stato approvato per il trattamento di pazienti recidivati o refrattari ad altre terapie) nel 67% di casi si è riscontrata una risposta positiva al farmaco, e di questi, nel 23% dei casi, la risposta è stata completa, con scomparsa dei sintomi della malattia. Il tempo mediano di sopravvivenza libero di progressione di malattia è stato di 13 mesi e la sopravvivenza globale di 22,5 mesi. Anche al Congresso Ash (American Society of Hematology) in corso in questi giorni a Orlando, grande attenzione per la nuova molecola con la presentazione di dati che dimostrano l’efficacia di Ibrutinib anche nei pazienti con leucemia linfatica cronica (età over 65) mai trattati prima: lo studio che ha messo a confronto Ibrutinib con il chemioterapico clorambucile, ha mostrato un miglioramento della sopravvivenza libera da progressione della malattia e un miglioramento della sopravvivenza globale riducendo il rischio di morte dell’84%. A 18 mesi, con Ibrutinib, si è ottenuta una percentuale di pazienti liberi da progressione di malattia del 94% vs. 45% del clorambucile, mentre la percentuale di risposta globale alla terapia è stata dell’86% rispetto al 35% del chemioterapico. “Ibrutinib – ha dichiarato Fabrizio Pane, Presidente della Società Italiana di Ematologia – è il primo di una nuova classe di farmaci biologici destinato a modificare in modo sostanziale la terapia di una serie di malattie tumorali del sistema linfatico di pertinenza ematologica. Ibrutinib è un farmaco che, agendo su uno dei meccanismi che sostiene la crescita neoplastica, può quindi essere risolutivo per le forme aggressive di leucemia linfatica cronica e per tutti i casi linfoma mantellare, in particolare degli anziani, che fino a oggi avevano esito infausto ed erano di difficile gestione clinica. E’ da sottolineare che si tratta di un farmaco che oltre alla elevata efficacia viene somministrato per via orale, e ciò offre un grande beneficio per i pazienti che da oggi potranno curarsi più comodamente anche a casa”. La leucemia linfatica cronica (o CLL) è una neoplasia delle cellule B di tipo indolente, caratterizzata da un decorso cronico a lenta progressione. E’ la leucemia più frequente nel mondo occidentale. Oggi in Italia si contano circa 3000 nuovi casi diagnosticati all’anno e l’incidenza è leggermente superiore negli uomini. È una patologia in graduale aumento, che colpisce prevalentemente la popolazione anziana. Un dato importante se raffrontato al fatto che l’Italia è il Paese più longevo d’Europa. “Alcuni pazienti hanno una forma di CLL aggressiva che progredisce rapidamente e che, senza trattamento, porta al decesso in pochi anni; mentre in altri la malattia ha un decorso lento e indolente, e i pazienti vivono relativamente senza sintomi per decenni - spiega Robin Foà, Past-President della Società Europea di Ematologia (Eha) e Direttore dell’Ematologia dell’Università ‘Sapienza’ di Roma - Fino ad oggi, e negli ultimi 40 anni, la cura principale è stata la chemioterapia, più recentemente associata a terapia con anticorpi monoclonali. Oggi invece si aprono nuovi scenari grazie agli avanzamenti della ricerca. Stiamo vivendo una vera e propria rivoluzione, grazie allo sviluppo di cure biologiche e terapie mirate che vanno a colpire in modo preciso uno specifico meccanismo biologico della cellula. Una delle caratteristiche più importanti di queste nuove terapie è che agiscono anche nei casi più gravi in cui la malattia è molto aggressiva e resistente a causa di alcune alterazioni genetiche; alterazioni presenti in circa il 10% dei pazienti in ‘prima linea di terapia’ (il primo step) e che aumentano fino al 35-40% nelle linee di terapia successive. Questa nuova classe di farmaci è in grado di tenere sotto controllo la malattia, cronicizzandola e garantendo al contempo una maggiore qualità della vita. Trattandosi prevalentemente di pazienti anziani, questa possibilità può semplificare la gestione e favorire l’aderenza alla cura”. Il linfoma mantellare (o MCL) è, invece, una neoplasia aggressiva delle cellule B, caratterizzata da una ridotta sopravvivenza mediana nonostante le terapie intensive; è diagnosticata più comunemente negli uomini che nelle donne e l’incidenza aumenta con l’età. I pazienti hanno un’età mediana alla diagnosi di 65 anni e la sopravvivenza globale mediana è oggi di 3 – 4 anni. “Questa forma di tumore del sangue è generalmente aggressiva,– ha dichiarato Pier Luigi Zinzani, Istituto di Ematologia e Oncologia Medica “L. e A. Seràgnoli, Università di Bologna – difficile da curare con le terapie convenzionali a decorso rapido, caratterizzato da recidive per le quali rapidamente i pazienti diventano via via refrattari a un sempre maggior numero di opzioni terapeutiche. Per questo motivo diventa ancor più rilevante il fatto di avere una nuova arma terapeutica che sia efficace e tollerata là dove le altre terapie non funzionano più”. In occasione del congresso Ash, è stato presentato lo studio di fase 3 condotto su pazienti con linfoma mantellare già precedentemente trattati, che ha messo a confronto Ibrutinib con Temsirolimus (terapia bersaglio indicata per questa patologia). I risultati hanno dimostrato una riduzione statisticamente significativa del rischio di progressione o morte pari al 57% per Ibrutinib, con un tempo mediano di sopravvivenza libera da progressione di malattia di 14.6 mesi per Ibrutinib e di 6.2 mesi per Temsirolimus. Ibrutinib Fonte: QuotidianoSanita.it |