Nei pazienti con immunodeficienza primitiva che non hanno donatori HLA compatibili, il sangue da cordone ombelicale senza sieroterapia e il trapianto allogenico con deplezione di TCRαβ+/CD19+ sarebbero buone alternative per il trattamento, con tassi di sopravvivenza intorno all’80%, anche se accompagnati da un alto rischio di rigetto e di riattivazione virale, con quest’ultima tecnica. A suggerirlo è una ricerca guidata da Reem Elfeky, dell’University College di Londra. I risultati dello studio sono stati pubblicati sul Journal of Allergy and Clinical Immunology.
Tra il 2006 e il 2017, Elfeky e colleghi hanno preso in considerazione 147 bambini con immunodeficienza primitiva che hanno ricevuto un trapianto di cellule staminali ematopoietiche non compatibili di cui 30 con deplezione TCRαβ/CD19, 43 con sangue da cordone ombelicale, 17 con cellule selezionate CD34+ con aggiunta di cellule T e 65 trapianti non manipolati. La sopravvivenza stimata di otto anni per l’intera coorte di paziente era del 79%. La mortalità correlata al trapianto è stata del 21,7% e il tasso di fallimenti del 6,7%. Inoltre, una riattivazione virale post-trapianto, il rigetto grave e il rigetto cronico sarebbero stati evidenziabili, rispettivamente, nel 49,6%, nel 35% e nel 15% dei casi. L’uso della deplezione TCRαβ/CD19 sarebbe stata associata a una significativa riduzione dell’incidenza di rigetto grave e cronico, ma con un aumento del 70% dell’incidenza di riattivazione virale. Viceversa, la ricostituzione delle cellule T avrebbe determinato un aumento dell’incidenza del rigetto grave, che si sarebbe verificato nel 56,7% dei casi. Fonte: PopularScience |