Dopo il caso di Layla, la bambina di un anno affetta da leucemia e trattata con successo con una terapia cellulare sviluppata dall’azienda francese Cellectis, un’altra bimba avrebbe risposto bene allo stesso trattamento, restando in una fase di remissione dopo sei mesi dal trattamento. A renderlo noto è stata la stessa azienda. I dettagli sul caso clinico sono stati presentati all’American Society of Gene & Cell Therapy annual meeting che si è tenuto a Washington.
Entrambe le bambine sono state trattate al Britain’s Great Ormond Street Hospital (GOSH) di Londra con un’iniezione di UCART19, il farmaco che ‘aggiunge’ nuovi geni alle cellule immunitarie di tipo T fornite da donatori sani, armandole contro la leucemia. In realtà, c’è bisogno di più tempo per capire se la terapia è una cura per la malattia o semplicemente ne rallenta la progressione. Ma il fatto che Layla stia ancora bene dopo 11 mesi dall’iniezione e che un secondo caso ha avuto successo fanno ben sperare. “Non ci sono ancora prove significative – ha dichiarato l’Amministratore Delegato di Cellectis, Andre Choulika -, ma ora abbiamo due casi. E questo dimostra che la terapia ha delle potenzialità”. La seconda bambina trattata al GOSH aveva avuto una diagnosi di leucemia a quattro settimane di vita ed è stata trattata con UCART 19 a dicembre, all’età di 16 mesi, dopo che altre terapie avevano fallito. Altre case farmaceutiche, inclusa Novartis, Juno Therapeutics e Kite Pharma hanno testato cellule-T geneticamente modificate, ma le cellule erano prese dallo stesso paziente. Mentre l’approccio di Cellectis utilizza le cellule di un donatore sano, in un processo che potrebbe portare a una fornitura su larga scala, per molti pazienti. L’azienda di Biotech, che lavora con l’americana Pfizer e con la francese Servier, è convinta che il suo metodo sia più veloce ed economico rispetto a quello utilizzato da altre società, che richiede terapie specifiche per ogni paziente. In ogni caso, la sperimentazione clinica su UCART19 dovrebbero partire quest’anno. Fonte: PopularScience |