L’ultima frontiera si chiama “CAR T”, una tecnica che prevede il prelievo di linfociti T dal paziente, la loro modificazione genetica per renderli in grado di riconoscere e uccidere in modo selettivo le cellule tumorali, e la successiva infusione nel paziente. A puntare i riflettori sulle future chance terapeutiche il Comitato per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della vita
I progressi compiuti negli ultimi anni in ambito oncologico sono eccezionali, le terapie, sempre più mirate e meno invasive, hanno prodotto un deciso aumento della sopravvivenza e della qualità della vita dei pazienti. Il merito di questi risultati va, in prima battuta, agli studi che hanno permesso di conoscere approfonditamente la biologia delle cellule neoplastiche, delineando la carta d’identità del nemico da battere. Non meno importante, è stato l’apporto delle ricerche condotte in ambito genetico, genomico, farmacologico e l’uso di tecnologie di ultima generazione che hanno consentito di accorciare i tempi di applicazione del dato scientifico all’ambito clinico. A puntare i riflettori sulle future chance terapeutiche il Comitato per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della vita che ha dedicato alla materia, nei giorni scorsi, un convegno ad hoc. CAR T, che è stata di recente sperimentata all’Ospedale Bambino Gesù di Roma su un bambino affetto da leucemia linfoblastica acuta, rappresenta, dunque, ben più di una speranza per i malati di tumori del sangue che in Italia crescono al ritmo di 33mila nuovi casi ogni anno. E proseguiranno con gli interventi di numerosi esperti e ricercatori impegnati quotidianamente nello sviluppo di tecniche innovative per la lotta contro il cancro. “Di fatto si tratta di prendere cellule immunitarie dal paziente, quelle stesse cellule che ci difendono da infezioni o dai virus ma anche da nemici ‘interni’ – ha spiegato Andrea Lenzi, Presidente del Cnbssv – lo stesso corpo umano produce costantemente cellule deviate, di fatto tumorali, che queste ‘sentinelle’, dette anche ‘natural killers’ provvedono ad uccidere. Esiste purtroppo l’evenienza, non rarissima, che queste cellule non vengano controllate dal sistema immunitario e si formino tumori. È possibile estrarre queste cellule poliziotto e condizionarle all’esterno, per essere aggressive contro il tumore che in quel momento ha il soggetto, rinfonderle nell’organismo e far si che queste cellule vadabo a uccidere selettivamente solo le cellule tumorali. Questo sistema è stato testato prima sulle cellule dei tumori del sangue, perché era più facile. Si trattava, infatti, di cellule circolanti, ‘liberate’ dalla massa del tumore solido dentro cui non solo ci sono le cellule tumorali ma le cellule di sostegno delle cellule tumorali che rende più difficile l’aggressione. E nella leucemia linfoblastica del bambino che non è sensibile alla normale chemioterapia, purtroppo una percentuale non irrilevante, abbiamo alla fine l’uccisione di tutte queste cellule e la sopravvivenza di questi bambini ad anni di distanza. Tutti bambini che sarebbero stati condannati a morte certa nel giro di pochissimi mesi”. Se parliamo di medicina personalizzata, con le Car T addirittura possiamo parlare di auto-sartoria. “Una volta si dice che la medicina doveva essere tailored, sartoriale – ha aggiunto Lenzi – in questo caso è lo stesso paziente che si cuce addosso la sua terapia perché vengono utilizzate le sue stesse cellule. Naturalmente non c’è alcun rischio di rigetto perché sono le sue stesse cellule ad essere ‘ingegnerizzate’ per poter diventare le cellule aggressive nei confronti del tumore. Ma quando ci sarà un protocollo clinico? A breve, ha annunciato Lenzi: “Ormai ci siamo abituati a ritmi molto più rapidi che in passato. Le terapie cellulari richiedono grandissima attenzione – ha concluso – perché devono essere prodotte in laboratori super-specializzati che attualmente sono pochi ma diventeranno presto tanti. Devono essere garantite in un reparto dove ci deve essere uno specialista, ematologo, se, come in questo caso si parla di leucemia. E poi dobbiamo avere il centro trasfusionale, la terapia intensiva, perché a volte gli effetti collaterali richiedono anche un passaggio di quel tipo. Ma io credo che davvero nel giro di pochissimo questa terapia andrà a regime e parleremo, chissà, solo in termini di un 2%, o giù di lì, di casi in cui non si guarisce”.
Fonte: QuotidianoSanità |