Sono stati tre gli studi presentati al congresso dell’American Society of Hematology che hanno confermato il ruolo di ibrutinib come importante protagonista nel trattamento della leucemia linfatica cronica (LLC) anche in prima linea. Si tratta di due studi di fase 3, l’iLLUMINATE (pubblicato in contemporanea su Lancet Oncology), l’ECOG-ACRIN e di uno studio di fase 1b/2 PCYC-1102, con il suo studio di estensione PCYC-1103 sui risultati di follow-up a 7 anni, il più lungo in assoluto per un inibitore della tirosin-chinasi di Bruton (BTK) nella LLC.
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La leucemia linfatica cronica (LLC) è la più comune forma di leucemia tra gli adulti e rappresenta l’11% di tutte le neoplasie ematologiche. Nell’arco degli ultimi 15 anni, una serie di studi di fase 3 hanno stabilito che la chemio-immunoterapia con fludarabina, ciclofosfamide e rituximab (FCR) migliora la sopravvivenza libera da progressione di malattia (PFS) e la sopravvivenza globale (OS), rispetto alla sola chemioterapia e rappresenta dunque il gold standard terapeutico nei soggetti più giovani e fit, naive al trattamento.
Nel frattempo tuttavia, una migliore comprensione della biologia delle cellule B della LLC ha portato a nuovi approcci terapeutici, quali l’ibrutinib, un inibitore irreversibile dellatirosin-chinasi di Bruton (BTK). Gli studi effettuati fino ad oggi hanno dimostrato un’efficacia notevole e durevole di questo farmaco nei soggetti con LLC recidivata/refrattaria; successivi trial di fase 3 hanno dimostrato che ibrutinib migliora la PFS e l’OS rispetto a clorambucil nei soggetti con LLC più anziani e naive al trattamento. Lo studio ECOG ACRIN “Si tratta di risultati che hanno un immediato impatto practice-changing – sottolinea Tait D. Shanafelt,della Stanford University, primo autore dello studio – e che dimostrano come ibrutinib-rituximab sia il trattamento di prima linea più efficace nei pazienti con LLC. La terapia di combinazione FCR, pur essendo efficace, determina un’elevata incidenza di effetti indesiderati e non è dunque tollerata da almeno la metà dei pazienti. Al contrario, il regime di trattamento IR, si è rivelato quello meno tossico di tutti i trattamenti utilizzati finora per questa patologia. L’obiettivo dei trial clinici oncologici è quello di migliorare l’efficacia del trattamento o di ridurne gli effetti collaterali. Con questo trial abbiamo centrato entrambi gli obiettivi. Si tratta – conclude Shanafelt - di un vero e proprio paradigm-shift che ci consentirà di passare in questa popolazione di pazienti da un ciclo di 6 mesi di chemioterapia endovena, ad un trattamento cronico con una pillola”. Lo studio iLLUMINATE PCYC-1130) “I risultati degli studi iLLUMINATE e ECOG-ACRIN – commenta Carol Moreno, ematologo dell’Hospital de la Santa Creu Sant Pau, Università di Barcellona (Spagna) e primo autore dell’iLLUMINATE – dimostrano un impressionate allungamento della PFS, rispetto ai regimi di chemio-immunoterapia abitualmente utilizzati. Questi regimi non chemioterapici rappresentano un passo avanti da considerare nella gestione di questi pazienti, compresi quelli più giovani e quelli con caratteristiche di LLC ad elevato rischio e rappresentano un passo avanti anche nel compromesso tra l’efficacia e la tossicità delle terapie anti-tumorali”. Studio di fase 1b/2 PCYC-1102 e il suo studio di estensione (PCYC-1103) Ibrutinib è il primo della classe degli inibitori della tirosin-chinasi di Bruton (BTK); il farmaco favorisce il legame covalente con BTK, bloccando in questo modo la trasmissione dei segnali per la sopravvivenza cellulare nelle cellule B maligne. Bloccando la proteina BTK, ibrutinib contribuisce a uccidere e dunque a ridurre il numero di cellule tumorali, ritardando la progressione del tumore.
Fonte: Quotidianosanita.it |